
E.C.H.A. – European Cultural Heritage Association Aps ha sede all’interno del prestigioso Parco archeologico-naturalistico dell’Acqua Claudia ad Anguillara Sabazia.
Il Parco dell’Acqua Claudia nasce nel 2017 mediante convenzione stipulata tra MiBACT e Società Sorgenti Clavdia S.r.l. (proprietaria del sito) con l’intento di tutelare, recuperare e valorizzare le realtà archeologiche, architettoniche, naturalistiche e di archeologia industriale disseminate sui cinque ettari dell’area.
Peculiarità archeologiche
Il complesso archeologico, conosciuto come “Villa romana dell’Acqua Claudia”, rappresenta uno dei rari esempi romani con conformazione architettonica “ad esedra”. Allo stato attuale delle conoscenze, non è nota la reale estensione del sito le cui strutture murarie sono in vista soltanto per il 35%. Nonostante la penuria di dati archeologici, i reperti rinvenuti e le attività di ricerca finora condotte dimostrano la presenza di una sontuosa residenza estiva, riccamente decorata e riferibile ad un facoltoso cittadino romano, probabilmente un esponente di spicco della politica romana.
La struttura, risalente al I sec. a. C., è impostata su tre distinti livelli: il primo scenografico, gli altri due funzionali all’abitazione e alla produzione. Il piano terra era occupato da una grande esedra scandita da nicchie finestrate alternate a semicolonne. Tre monumentali ninfei caratterizzavano l’intero complesso. I primi due, probabilmente collegati da un canale (interrotto nella sola parte centrale), costituivano le estremità laterali mentre il terzo, più grande e voltato, costituiva il fulcro prospettico centrale della struttura curvilinea.
Al centro dell’esedra si apriva l’entrata monumentale, collocata in asse con il ninfeo centrale. L’area è stata trasformata in chiesa durante l’alto medioevo e, data la sua importanza, è attualmente oggetto di indagini archeologiche mirate.
Dall’ingresso principale era possibile raggiungere il mitreo, ancora oggi ben conservato e visitabile. Si tratta di un tempio dedicato a Mitra, divinità indo-iranica, il cui culto venne portato a Roma dalle truppe di Pompeo di ritorno dall’oriente in seguito dello sbarco delle sue truppe a Brindisi avvenuto nel 62 a.C. Il culto di Mitra si diffuse a Roma soprattutto a partire dal I secolo d.C. divenendo, nel giro di due secoli, il culto più diffuso. La tradizione vuole che la cerimonia fosse caratterizzata da un’immersione nella cosiddetta fossa sanguinis, una fossa nel terreno piena del sangue del toro che spesso viene rappresentato sgozzato dal dio riconoscibile con il tipico copricapo frigio. Trattandosi di una costruzione arcaica (in questo caso il luogo di culto è interamente scavato nella roccia per ricreare il luogo di nascita del dio) la fossa sanguinis non venne ricreata (anche per l’esiguità dello spazio) e sostituita da un pozzo, un canale in collegamento con la superficie che aveva probabilmente il duplice scopo di far discendere il sangue degli animali per la cerimonia (probabilmente di piccolo taglio) ed avere un diretto contatto con il cielo, essendo il legame del dio molto forte con le costellazioni celesti. Intorno all’ambiente di culto banchine scavate nella roccia, una tavola d’offerta, una nicchia per contenere l’anfora per l’acqua e una piccola nicchia destinata ad accogliere il simulacro della divinità.
Attraverso un piano intermedio, quasi interamente interrato, si raggiunge il pianoro sovrastante che non sfrutta il fianco della collina ma la sua superficie. Qui erano dislocati gli ambienti residenziali veri e propri sfortunatamente ancora interamente da indagare e che occupavano l’intera parte destra del pianoro. Al centro era probabilmente situato un giardino-peristilio o l’impianto termale (nei ‘balnea’ repubblicani si riduceva a calidarium e frigidarium) la cui natatio (piscina d’acqua fredda) era situata all’interno di un peristilio ancora quasi del tutto interrato e confinante con l’impluvium (spazio aperto per la raccolta dell’acqua piovana), che rappresentava il margine più esterno e situato nei pressi della porta principale d’ingresso, individuata grazie alla scoperta in loco di una soglia divisa in tre blocchi in pietra basaltica. Un disimpegno a cielo aperto (si ipotizza un parcheggio per carri e calessi) fungeva da elemento divisorio tra la pars rustica (residenza della servitù) e la pars fructuaria che comprendeva stalle, magazzini, luoghi di lavorazione delle materie prime. Staccata dall’area produttiva la pars dominica (residenza del dominus e della sua famiglia). Sappiamo infatti che questi grandi complessi sperduti in aperta campagna avevano l’assoluta necessità di rendersi completamente autonomi per la produzione di derrate alimentari e limitarsi all’acquisizione di prodotti disponibili solo nella capitale o nei pressi di laghi o del mare (l’uso del pesce era facilmente accessibile grazie alla vicinanza del Sabatinus lacus).
Aspetto naturalistico
L’abbondanza di acqua del sottosuolo ha da sempre favorito la proliferazione di numerose essenze arboree.
Già gli antichi romani, più di duemila anni fa, a corredo della sontuosa residenza romana progettarono il lucus (“bosco sacro”), luogo di dimora delle divinità, soprattutto ninfe e fauni. L’origine del lucus risale alla notte dei tempi, quando gli uomini, per ingraziarsi gli dèi e sperare nella loro benevolenza, offrivano loro cibi e libagioni, le stesse che si erano procurati cacciando o raccogliendo frutta dalle piante che lo componevano. Il bosco, quindi, diventa un elemento sacro e certamente presente nell’area destinata a giardino di proprietà del dominus. Il luogo dove sorgeva l’antico lucus dell’Acqua Claudia non è stato individuato con certezza ma, con tutta probabilità, doveva svilupparsi lungo il corso del fiume Arrone, non troppo distante dalla residenza del padrone di casa e facilmente accessibile, composto da piante, alberi e cespugli di vario tipo simili a quelli che si possono attualmente ammirare nel parco (allori, ulivi, fichi selvatici, acacie, tigli e querce).
Le secolari essenze arboree che i visitatori possono ammirare oggi, immergendosi nella natura incontaminata del parco, derivano principalmente da sistemazioni tardo ottocentesche. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, infatti, l’area del parco dell’Acqua Claudia cominciò ad essere frequentata da numerosi visitatori per via delle proprietà benefiche della cosiddetta “acqua acidula”. Quando il parco divenne proprietà di Giuseppe Forastieri e si avviò l’attività industriale di imbottigliamento dell’acqua, tutto il lotto subì una forte trasformazione che portò all’ideazione e alla realizzazione di un grande giardino all’italiana ricco di slarghi, fontane, pergolati, piazzette e viottoli. Il tutto messo a sistema con le architetture industriali e residenziali ancora presenti nel sito, anche se molto rimaneggiate.